Il demone della droga lo ha tormentato fin dall’adolescenza, costringendolo anche ad entrare in una comunità di recupero, a Sant’Angelo, e da qui ad iniziare a lavorare come cuoco, introdotto alla pizzeria Da Pino, in piazza dei Signori e poi anche nel bellunese, a Corvara, in un rifugio. Sempre le sostanze e le “cattive compagnie” (per usare un eufemismo) hanno riportato Francesco Favaretto, ex studente dell’istituto comprensivo “Serena” e dei Salesiani, nel vortice della dipendenza e quindi ad un’assurda morte, aggredito a coltellate e bottigliate per dell’hashish. Lui e la madre, Monica, vivevano insieme in un appartamento in via Toscana, nel quartiere trevigiano di San Liberale. Le preghiere della donna, fervente religiosa e volontaria nelle parrocchie di quella zona di Treviso, non sono purtroppo servite a salvare la vita al ragazzo. Di lei, del suo ragazzo e della sua terribile parabola ha parlato oggi un’amica di famiglia, Marinella.
«Ho il cuore affranto dal dolore e anche la mia famiglia è affranta dal dolore» spiega «perché Monica è sempre stata presente anche nell’aiutare il mio papà quando era all’ospedale, che è mancato in agosto, mi è stata di aiuto con grande amore, mi aiutava a curare il papà, diciamo nella parte notturna e poi mi ha aiutato anche con mio suocero nella parte di badante. Io in questi giorni le sono stata molto vicino, ho fatto l’impossibile proprio perché gli ho aperto la mia casa, proprio perché lei potesse trovare anche del calore, calore perché Monica viveva al freddo, senza acqua, senza gas e senza luce, perché lei non ce la faceva a fine mese a pagare tutto quello che doveva pagare».
«E’ una donna tosta che si è tirata su un figlio da sola. Da sola perché praticamente lei è stata abbandonata come ragazza madre quando era ancora giovane» racconta Marinella «non ha avuto nessun altro uomo, lei era dedita al figlio e ha cercato in tutte le maniere, perché non c’era giorno che Monica non lo facesse ragionare e cercava di farle capirgli in tutti i modi di cambiare strada. Gli ha proposto di portarlo via da Treviso, qualsiasi cosa ha fatto l’impossibile: è una mamma presente, una mamma che amava infinitamente suo figlio perché viveva per Francesco, lei non aveva altro».
Signora Marinella, quindi qualcuno poteva fare qualcosa? O è una situazione che si sfuggita di mano?
«Ma diciamo che la mamma, avendo avuto nel passato, negli anni indietro, tanto tanto indietro, essendo che quando lui era piccino lo volevano portare via» spiega «lei invece scappata, era stata messa in una casa di ragazze madri e da lì lei lavorava perché mi raccontava che cuciva tutto il giorno e di conseguenza aveva questo bambino piccolo che lo alattava: alle spalle lei ha una vita molto dura, di sofferenza, provata da tante cose perché ha dovuto lottare anche con gli assistenti sociali e tutto quanto che poi anche lei avesse un carattere un po’ particolare in certi momenti, lo si può capire».
«Lei è sempre una donna di preghiera, ha superato nel miracolo fino a ieri sera» continua Marinella «poi oggi ci dovevamo incontrare e praticamente ha scritto solo un messaggio che non era possibile incontrarci, la notizia l’ho presa proprio dai social. Poi c’è stato un tam tam tra di noi volontari, perché siamo un po’ di volontari sia nelle varie chiese di Treviso, così e anche nel monastero di clausura. Sono ancora sconcertata perché con Monica abbiamo condiviso veramente dei Natali insieme, abbiamo condiviso gioie e dolori, sia da parte della mia famiglia, sia da parte sua, quando veramente magari per qualche giorno non riusciva proprio a mettersi il cuore in pace e di trovare una soluzione per questo Francesco, ma lei viveva per Francesco, amava Francesco».
«Certo che da parte mia sono allibita che venga lasciata senza luce, senza acqua e senza gas» chiude «perché nel 2024 questa praticamente povera donna, l’abbiamo aiutata noi personalmente volontari più di qualche volta magari con quello che potevamo, tenendola anche a dormire, perché ha dormito tante volte a casa mia pur di trovare un po’ di caldo, portandola da un dentista perché magari non ce la faceva con i soldi».
Qualcuno doveva intervenire per aiutarla?
«Secondo me qualcuno più alto di me, e io non faccio nomi, poteva intervenire nel dare un aiuto, perché tutti siamo delle persone umane: è inutile giudicare le persone, puntare il dito sulla droga, su questo, sulle frequentazioni, perché il ragazzo era fragile, era stato in una comunità a Sant’Angelo per due anni, poi l’avevano inserito presso la pizzeria da Pino ed era così bello da vederlo che io andavo in piazza a mangiar la pizza e anche con sua mamma. Dicevo: “Guarda che bello che è Francesco”. Lui si stirava anche le camicie quando era in quella comunità, voleva essere in ordine, lui aveva un fondo suo di cuore perchè tante volte lui piangeva con sua mamma e diceva “io sento un vuoto dentro di me, sto male, però non ce la faccio”. Piangeva perchè voleva essere aiutato ma non è riuscito a tirarsi fuori da quel tunnel in cui era entrato».
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