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Fra dieci anni solo l’1,5% delle famiglie leggerà quotidiani: il giornalismo cartaceo sta morendo e l’alternativa oggi qual è? Pochissime testate serie sul web che devono cercare di sopravvivere nell’era di Facebook, TikTok, Instagram e, soprattutto, X. E lo Stato cosa fa? Stanzia 50 milioni di fondi all’editoria, cioè le briciole…
Con la manovra sul Fondo unico per il pluralismo e l’innovazione digitale dell’informazione e editoria, 50 milioni di euro saranno destinati al supporto di quotidiani e periodici. Forza Italia e Pd con Italia Viva avevano proposto di destinare 140 milioni di euro al settore. Poi, a causa delle risorse insufficienti, sono diventati 20 milioni. La Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali) ha subito dato l’allarme. Dopo trattative, contrattazioni e una nuova riformulazione del subemendamento, si è deciso per un totale di 50 milioni. Il risultato? Una situazione che sa di compromesso al ribasso. “In considerazione degli effetti economici derivanti dall’eccezionale incremento dei costi di produzione…” si legge nell’emendamento, ma è chiaro che i 50 milioni non basteranno per un’editoria che si trova a combattere su più fronti: crisi economica, transizione digitale e un mercato dominato dai colossi del web. E non è solo una questione di numeri. È la qualità dell’informazione che sta sparendo. Siamo passati dall’approfondimento al clickbait, dalle analisi ai titoli acchiappa-like. Fermiamoci un attimo. Chi legge ancora il giornale al bar con un caffè? Sempre meno persone. Secondo l’Agcom, tra 10 anni solo l’1,5% delle famiglie leggerà un quotidiano. L’Osservatorio sulle Comunicazioni ha rilevato che in quattro anni sono sparite quasi 2.700 edicole, cioè una perdita del 16%, con oltre 2.300 chiusure tra le imprese individuali. E il dato fa male. Perché dietro quei chioschi c’è il lavoro di persone, famiglie che si vedono costrette a reinventarsi in un mondo che non lascia spazio alla carta stampata. Contemporaneamente, le linee internet in fibra ottica crescono, mentre quelle in rame crollano: un segnale chiaro della digitalizzazione inarrestabile che sta spingendo i giornali verso l’oblio. Ma non tutti riescono a stare al passo. Per i quotidiani locali, la transizione digitale rappresenta un investimento proibitivo in un contesto già economicamente fragile. Eppure, di questa crisi si parla poco. Perché non fa notizia. Perché non porta clic. Meglio un bel titolone su una polemica social o un gossip pruriginoso. Ma il rischio è concreto: giornalisti professionisti potrebbero non avere più un lavoro, lasciando campo libero a influencer e creatori di fake news. Perché è così che funziona: resterà solo chi ha i follower, non chi ha la competenza.
Sono state vendute quasi sei milioni di copie al giorno nel 2007, tre milioni nel 2016, un milione e trecentomila quest’anno (in media nel primo semestre gennaio-giugno). Vi rendete conto? Alle persone, ormai, leggere le notizie sembra un optional. Cliccare su un articolo online? Una fatica immane. Si fermano al titolo, e c’è persino chi commenta senza neppure sfiorare il contenuto dell’articolo. Un copione grottesco che racconta perfettamente lo stato di apatia informativa in cui ci troviamo. E i giornalisti si adattano a questa modalità di lettura, o meglio, a questa incapacità di lettura da parte dell’utenza media. In fondo, in un modo o nell’altro devono pur sempre guadagnare. E quindi, la colpa è la loro? Il giornalismo, negli ultimi anni, ha mostrato segnali di un preoccupante declino qualitativo, ma dietro questa trasformazione c’è un adattamento quasi obbligato: inseguire modelli che garantiscano la sopravvivenza economica in un panorama sempre più ostile per chi non riesce a stare al passo. Cercano di accontentare il pubblico, di abbassarsi al livello del pubblico. Questa situazione ricorda ciò che faceva Verga nei suoi romanzi, una scelta stilistica che allora veniva criticata ma che aveva un preciso scopo: avvicinare il linguaggio narrativo al mondo dei suoi personaggi. Allo stesso modo, molti giornalisti di oggi si trovano a dover abbandonare l’approccio tradizionale per adattarsi a un pubblico che sembra richiedere una comunicazione più immediata e semplificata, spesso a scapito della qualità. Vi ricordate? Verga veniva accusato di non saper scrivere. Ma in realtà utilizzava una tecnica che si chiama “artificio della regressione”. Questa tecnica consiste nell’annullare tutte le radici “colte” del narratore. Il narratore si mette sullo stesso piano dei personaggi di cui parla. Alla fine molti giornalisti si trovano costretti a calibrare il loro linguaggio e stile su un livello che sia accessibile al pubblico più vasto, sacrificando spesso l’approfondimento e la complessità per incontrare le aspettative di una platea sempre più abituata alla fruizione rapida e superficiale dei contenuti. Sono costretti ad annullare le loro importanti capacità di fare informazione di qualità per adattarsi al mondo di oggi: quello dei social, quello della leggerezza, quello del pettegolezzo. A questo scrollare il più veloce che si può, a questa disattenzione collettiva che non fa fermare un attimo a pensare: “Ma cosa sta effettivamente succedendo intorno a me, ora?”. Ecco perché i fondi all’editoria sono importanti. Non sono un capriccio.
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