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Venerdì la Camera ha approvato il disegno di legge di bilancio, il più importante provvedimento di programmazione economica che stabilisce come lo stato spenderà e reperirà le risorse nell’anno successivo. Deve essere approvata ogni anno entro il 31 dicembre: ora passerà all’esame del Senato, ma non saranno approvati nuovi emendamenti per evitare che il disegno di legge debba ritornare alla Camera, allungando i tempi.
Del resto di modifiche ne sono già state fatte parecchie nelle ultime settimane, anche su misure che il governo aveva detto di non voler cambiare, ma su cui si è ritrovato a fare qualche concessione per arrivare a una prima approvazione entro Natale.
Il governo di solito presenta il disegno di legge di bilancio entro metà ottobre di ogni anno, per essere inviato in tempo alla Commissione Europea, che poi lo esamina. Da quel momento comincia un negoziato interno ai partiti della maggioranza, con trattative spesso turbolente per modificare o correggere alcune misure. Quasi sempre le trattative riguardano le norme accessorie, non quelle fondamentali, e i vari partiti si battono per ottenere qualche concessione da poter rivendicare di fronte agli elettori. C’è un unico paletto: i saldi di finanza pubblica – cioè l’andamento della spesa e del debito pubblico, e degli altri principali parametri macroeconomici – devono restare invariati.
È ormai prassi che il parlamento approvi la legge di bilancio votando a favore di un cosiddetto “maxiemendamento”, cioè un emendamento unico che riscrive integralmente la legge includendovi tutte le varie modifiche aggiunte durante le negoziazioni.
Con la votazione alla Camera l’impianto generale della legge di bilancio è rimasto simile a quello inizialmente presentato dal governo. Complessivamente riguarda misure aggiuntive per 30 miliardi di euro, di cui quasi due terzi servono per finanziare i due cambiamenti più importanti: la legge rende strutturale la riduzione dell’IRPEF, l’imposta sui redditi delle persone fisiche, e del cuneo fiscale, cioè la differenza tra il costo del lavoro per le aziende e quanto il dipendente riceve effettivamente di stipendio netto. Erano entrambe misure già esistenti ma che il prossimo anno sarebbero scadute.
Oltre a questi provvedimenti, nelle ultime settimane sono state aggiunte e tolte varie misure più o meno notevoli a seconda della loro rilevanza politica e dell’impatto che possono avere sull’economia.
1. Una novità per i redditi dei dipendenti
Chi ha un lavoro dipendente beneficia già della riduzione del cuneo fiscale e delle aliquote IRPEF, che di fatto riducono le imposte dovute per i redditi medi e medio bassi. Con il passaggio parlamentare è stata inserita un’ulteriore agevolazione: chi ha altri redditi da lavoro oltre quello da dipendente, come nel caso di collaborazioni, potrà usufruire del regime forfettario, quello che in gergo viene chiamato “flat tax”, per questi redditi aggiuntivi, a patto che non guadagni da dipendente più di 35mila euro (aumentati dagli attuali 30). Viene quindi allargata la platea di chi potrà usare la tassazione agevolata, anche se solo per i redditi aggiuntivi.
Prendiamo l’esempio di un dipendente con 31mila euro di redditi da lavoro dipendente e 10 mila euro di altri redditi da lavoro, derivanti da collaborazioni: per quei 10mila euro il dipendente, a meno che non fossero attività occasionali, doveva aprire la partita IVA e usare il regime ordinario, di complessa gestione e che prevede anche il pagamento dell’IVA. Con l’aumento della soglia da 30 a 35 mila, potrà invece accedere al regime forfettario, o alla “flat tax”, che prevede non solo una tassazione agevolata ma anche molti oneri di rendicontazione in meno, che per cifre basse possono portare anche a rinunciare del tutto ai redditi extra.
2. Il contestato emendamento sugli stipendi dei ministri è stato ritirato
Non è stato inserito l’emendamento che avrebbe aumentato lo stipendio di ministri e sottosegretari non eletti in parlamento, che al momento per legge è inferiore a quanto ricevono i ministri che sono anche parlamentari. Di questo emendamento si era discusso parecchio ed era stato criticato anche da vari ministri in carica, tra cui quello della Difesa Guido Crosetto, che aveva chiesto di ritirarlo insieme ad altri colleghi.
– Leggi anche: Il governo ha fatto ritirare la proposta di aumentare gli stipendi ai ministri
3. Le nuove possibilità sulle pensioni
La novità più rilevante in tema di pensioni riguarda i cosiddetti lavoratori “interamente contributivi”, cioè ormai la maggior parte degli attuali lavoratori la cui pensione sarà calcolata del tutto col nuovo metodo contributivo, basato sui contributi versati durante la carriera. Sono esclusi da questo sistema quelli che hanno cominciato a lavorare prima del 1995, che hanno ancora una quota calcolata col vecchio metodo retributivo, più generoso perché commisurava la pensione agli ultimi stipendi ricevuti (che di solito sono più alti rispetto agli stipendi di inizio carriera).
Gli “interamente contributivi“ potranno accedere a una modalità di pensionamento anticipato grazie alla previdenza integrativa, cioè se hanno un fondo pensione privato: potranno andare in pensione prima se la rendita prevista dal fondo pensione permette loro di integrare a sufficienza quanto spetterebbe con la pensione pubblica accumulata finora, fino a raggiungere la soglia minima prevista per legge, cioè pari a 3 volte l’assegno sociale (poco più di 500 euro). Bisognerà avere però almeno fino a 64 anni e avere 25 anni di contributi versati, che diventeranno 30 dal 2030. La misura prevede condizioni più favorevoli per le lavoratrici con figli.
È una novità interessante, che promuove la pensione anticipata non più con una delle solite quote, costosissime per lo stato, ma con il contributo dei fondi pensione privati. Nel lungo periodo punta a promuovere proprio il ricorso ai fondi pensione, che saranno sempre più necessari per ottenere una pensione dignitosa, via via che il sistema pubblico diventerà meno generoso: attualmente l’Italia è tra i paesi europei che meno ne usufruiscono, e in cui i pensionati fanno più affidamento sull’assegno pubblico.
Non è passato invece l’emendamento per la riapertura del periodo di silenzio-assenso per la destinazione del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) a un fondo pensione, anche questa un’opzione che sarà sempre più utile per i lavoratori che vogliono integrare la pensione pubblica. Restano quindi in vigore le norme attuali secondo cui, se il dipendente non esprime un’esplicita preferenza entro i sei mesi successivi all’assunzione, il TFR sarà destinato automaticamente al fondo pensione di categoria.
– Leggi anche: Cosa fare con il TFR?
4. Meno Superbonus, più bonus lavatrice
La legge di bilancio prevede un’ulteriore modifica dei costosissimi bonus edilizi, che saranno quasi del tutto eliminati dall’anno prossimo: il cosiddetto Superbonus, ormai ridotto dal 110 per cento del valore dei lavori al 65 per cento, sarà erogato solo ai lavori iniziati prima del 15 ottobre 2024. È stato eliminato anche il cosiddetto “bonus caldaie” per quegli impianti che funzionano ancora con l’uso di combustibili fossili, mentre è stato inserito quello che sui giornali è stato chiamato il “bonus lavatrice”, un contributo fino a 100 euro per l’acquisto di un nuovo elettrodomestico – come un frigo, una lavastoviglie, un piano a induzione, o appunto una lavatrice – che sia almeno di classe energetica B. Il bonus sale a 200 euro per chi ha un ISEE (l’indicatore sintetico sulla condizione economica familiare) sotto i 25mila euro.
5. I bonus per gli sport dei figli
Come previsto è stato confermato il bonus di mille euro per chi diventerà genitore nel 2025, a patto che l’ISEE familiare sia sotto i 40mila euro; e come previsto sono state aumentate da due a tre le mensilità di congedo parentale retribuite all’80 per cento. A queste misure il passaggio parlamentare ha aggiunto anche un contributo per le spese in attività sportive o ludiche dei figli dai 6 ai 14 anni: potrà beneficiarne chi ha un ISEE inferiore a 15mila euro.
6. Non serviranno i revisori contabili nelle aziende che ricevono soldi pubblici
È stata rivista in modo sostanziale una norma che obbligava le aziende che ricevono almeno 100mila euro di soldi pubblici a nominare un revisore del ministero dell’Economia nei propri collegi sindacali, cioè negli organismi che vigilano sui bilanci: Forza Italia aveva espresso grosse critiche, perché la considerava una norma evidentemente statalista. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva detto che avrebbe accettato modifiche solo a patto che il senso originario fosse mantenuto, e cioè che lo Stato potesse avere un controllo diretto sull’utilizzo dei suoi finanziamenti alle aziende. Non è andata proprio così: a vigilare sull’uso dei fondi pubblici saranno i collegi sindacali, dunque non nominati dallo Stato, i quali però dovranno inviare una relazione periodica al ministero dell’Economia.
7. Saranno dati più soldi per il progetto del Ponte sullo Stretto
La legge di bilancio approvata alla Camera aumenta la dotazione per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, che supera i 12 miliardi di euro. La legge di bilancio ha spostato sul progetto 1 miliardo e mezzo di euro dal Fondo di sviluppo e coesione. È stato previsto anche un miliardo aggiuntivo per la realizzazione della TAV Torino-Lione.
– Leggi anche: Che fine ha fatto la Torino-Lione
8. La deludente detassazione degli straordinari del personale sanitario
È stato aggiunto un emendamento che prevede la detassazione degli straordinari di medici e infermieri, che saranno sottoposti a una tassazione di favore del 5 per cento. È comunque una concessione limitatissima in favore della categoria che aveva maggiormente criticato la legge di bilancio, che ha destinato alla sanità risorse molto inferiori alle promesse fatte dal ministro della Salute Orazio Schillaci.
9. Più soldi per il bonus psicologo
Con il passaggio in parlamento la legge di bilancio ha aumentato di 1,5 milioni di euro la dotazione per il 2025 del fondo che finanzia il cosiddetto “bonus psicologo”, un contributo per chi fa un percorso di psicoterapia. Il bonus era stato erogato per la prima volta nel 2022, e nel 2023 il governo lo rese strutturale con una dotazione di 8 milioni l’anno, che si sono rivelati di gran lunga insufficienti a fronte delle numerose domande presentate.
10. Il governo è tornato indietro sulla cosiddetta “web tax” e sulle criptovalute
Il ripensamento più notevole del governo sulla legge di bilancio riguarda la cosiddetta “web tax” o “digital tax”, l’imposta sui servizi digitali, cioè sui ricavi che siti e social network traggono dalla pubblicità online. Il governo voleva estenderla a tutte le imprese del settore, anche le più piccole che al momento sono esentate. Questa norma aveva generato molti malumori tra i partiti di maggioranza, anche perché contraddiceva una battaglia storica di Fratelli d’Italia e Forza Italia per cui questa tassa avrebbe dovuto riguardare solo i cosiddetti «giganti del web», cioè le multinazionali con sede fiscale all’estero. Giorgetti aveva escluso la possibilità di correzioni significative, ma alla fine è stato reintrodotto il limite attualmente esistente dei 750 milioni di euro di ricavi all’anno, sotto cui le aziende del settore continueranno a non pagare l’imposta.
Analogamente, il governo è tornato parzialmente indietro sulla tassazione delle criptovalute, che voleva aumentare dal 26 per cento (che è l’aliquota applicata alla maggioranza delle rendite finanziarie) al 42. La decisione è stata molto contestata, sia perché sarebbe stata discriminatoria nei confronti di un solo tipo di investimento sia perché avrebbe rischiato di scoraggiare in maniera significativa la crescita di un settore in grande espansione: tutto questo a fronte di appena 16 milioni di euro di gettito annuale atteso. Anche qui alla fine si è trovato un compromesso: la tassazione resterà al 26 per cento nel 2025, per poi aumentare al 33 per cento dal 2026.
– Leggi anche: Il governo ha aumentato le tasse?
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