FVG – Il 21 dicembre 2024, alle ore 10:21 italiane, si è verificato il solstizio d’inverno, segnando l’inizio ufficiale della stagione invernale nell’emisfero boreale. In questa giornata, il Sole è sorto alle 7:37 e tramontato alle 16:44, rendendola la più breve dell’anno con circa 9 ore e 2 minuti di luce diurna.
Questo fenomeno è dovuto all’inclinazione dell’asse terrestre, che porta il Sole alla sua massima declinazione negativa, determinando il giorno con la minima durata di luce solare.
Da questo momento in poi, le giornate iniziano ad allungarsi gradualmente fino all’equinozio di primavera, previsto per il 20 marzo 2025, quando le ore di luce e buio si equivalgono. Il prolungamento della luce diurna continua fino al solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno.
La data esatta del solstizio d’inverno varia leggermente ogni anno, situandosi tra il 20 e il 23 dicembre, a causa della discrepanza tra l’anno solare e il calendario civile.
Il solstizio nella tradizione
Il solstizio d’inverno fin da epoche remote riveste un significato profondo in numerose culture, spesso associato alla rinascita della luce e a celebrazioni che simboleggiano il rinnovamento e la speranza.
Nella mitologia celtica, ad esempio, si celebra il ritorno della luce, rappresentato dalla vittoria del dio Lugh sulle tenebre.
Nelle tradizioni nordiche, il solstizio era segnato da Yule, una festività in cui il fuoco giocava un ruolo centrale per evocare la luce che vince l’oscurità. Anche nell’antica Roma, il solstizio d’inverno era celebrato con i Saturnali, festività dedicate al dio Saturno, simbolo di abbondanza e rinnovamento.
La tradizione friulana
Il solstizio d’inverno, con la sua simbologia di rinascita e rigenerazione, ha trovato espressioni particolarmente evocative nella tradizione friulana, dove i riti legati al fuoco assumevano un ruolo centrale. Per il popolo friulano, così come in molte altre culture, il fuoco era considerato un elemento sacro, capace di rinforzare la luce, richiamare la fertilità e rinnovare la vita. I rituali prevedevano una serie di atti propiziatori, incentrati su tre obiettivi principali: conoscere il futuro tramite la divinazione, eliminare il negativo del passato (morte, malattia, tenebre) e propiziare un futuro prospero. Questi intenti si manifestavano attraverso l’utilizzo di elementi naturali come il fuoco e l’acqua, accompagnati da formule, suoni rituali, offerte e un dialogo simbolico con il mondo degli spiriti.
Tra le tradizioni più suggestive, c’era quella del ceppo natalizio, chiamato in friulano zoc di Nadàl o Nadalìn. Questo rito, radicato nella cultura rurale e risalente almeno al XII secolo, rappresentava una pratica diffusa in molte aree d’Europa, dalla Scandinavia alle Alpi, dalla penisola iberica ai Balcani.
In Friuli, il ceppo veniva scelto con cura durante l’anno, spesso preferendo legni come il faggio o il gelso, e custodito fino alla vigilia di Natale, quando veniva introdotto nelle case per il rito.
L’arrivo del ceppo era accompagnato dai bambini, che portavano lumi accesi, mentre il padrone di casa lo benediceva con l’acqua santa prima di collocarlo nel focolare. La cenere aveva un ruolo simbolico: si credeva che coprire il ceppo con essa fosse un gesto propiziatorio. Un segno di cattivo presagio, tuttavia, era rappresentato dalla mancata combustione del ceppo al mattino di Natale, interpretata come presagio di sventura.
Il ceppo ardeva per dodici notti, fino all’Epifania, in un ciclo simbolico che richiamava l’allungarsi delle giornate e la vittoria della luce sulle tenebre. I resti del ceppo non venivano mai gettati, poiché si riteneva che conservassero proprietà magiche e protettive. Cenere e carboni erano utilizzati per favorire i raccolti, la fertilità delle donne e degli animali, oltre a garantire protezione dai fulmini. Spesso, i residui venivano impiegati per accendere il ceppo dell’anno successivo, rafforzando così il legame tra passato e futuro.
Questa tradizione, pur radicata in un contesto rurale e ancestrale, conserva un significato universale. Il ceppo natalizio rappresenta la continuità, il rinnovamento e il rapporto dell’uomo con la natura e i cicli cosmici.
Sebbene oggi il ceppo sia stato in parte sostituito dall’albero di Natale e da altre decorazioni di rami d’abete, o dal tronchetto di Natale, dolce tradizionale delle feste, il suo significato simbolico continua a riecheggiare come richiamo alle radici culturali e alla necessità di rigenerazione e speranza, soprattutto nei momenti più bui dell’anno.
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