La Sad concerto Vox Nonantola inizia l’ultimo tour della band: «Ecco perché ci separiamo»

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NONANTOLA. Parlare apertamente di dolore – e di come uscirne – è ciò di cui ognuno di noi, oggi più che mai, ha bisogno. Fiks, Plant e Theø, per tutti La Sad, hanno nuotato nella vita come “in un mare di guai” rimanendo sempre se stessi e ricucendo le ferite con la musica. Domani – sabato 21 dicembre – alle 21 daranno il via al loro ultimo tour come band al Vox di Nonantola: dopo i due album “Sto nella sad” e “Odio la sad”, riabbraceranno i loro bimbi tristi prima di dedicarsi a progetti singoli. Nel frattempo La Sad ha dimostrato a questo paese che il punk può essere veicolo di emozioni, sfogo e libertà, e che forse è proprio per questo che qualcuno cerca ancora di censurarlo.

Fiks, vi sentite pronti per questo tour?

«Come sempre ci sentiamo bene: abbiamo creato un grande show e siamo carichi. Ripercorreremo tutti i passi del gruppo dall’inizio fino a oggi, con le ultime cose che abbiamo fatto. Ci saranno anche dei begli intervalli tra una canzone e l’altra, in un concerto a trecentosessanta gradi. Siamo gasati e non vediamo l’ora di fare questa data e dare l’inizio al tour».

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Perché la gente dice “Odio La Sad”?

«Perché purtroppo viviamo in un paese in cui ancora si discriminano le persone diverse, dove la gente giudica gli altri sulla base di come appaiono. Noi siamo un po’ lo specchio di questo fatto, lo abbiamo vissuto a Sanremo e sempre nella nostra vita, dato che noi siamo così dall’inizio; non è che ci siamo svegliati un bel giorno e abbiamo deciso di farci la cresta, eravamo punk e differenti fin da quando andavamo a scuola. Volevamo esorcizzare il problema e far vedere che, mentre il mondo sta facendo dei passi avanti, l’Italia continua a rimanere indietro».

La musica può salvare da se stessi?

«La musica è fortissima perché manda messaggi molto potenti che a sua volta ognuno può rendere propri, più personali, ecco. Non dico che siamo stati un esempio educativo per i ragazzi di oggi, ma sicuramente li abbiamo aiutati a uscire di casa, a essere più socievoli e abbiamo cercato di dargli qualcosa in cui credere».

La gente pensa che il punk porti sulla cattiva strada. Voi ribaltate lo stereotipo?

«Nelle nostre canzoni non c’è violenza. Sono solo spazi aperti per le persone che hanno problemi nella vita. Noi diciamo sempre che, anche se facciamo punk e ad alcuni può non piacere come suona, ci si può legare al messaggio, al testo, o a quest’idea di unione tra tutti coloro che hanno sofferto nella propria esistenza. Tutti hanno passato momenti difficili e ogni essere umano è accomunato da questo. Però siamo qui a eorcizzare il dolore, gridandolo nelle canzoni e sfogandoci».

In “Goodbye” si scopre che il vero “cattivo” può anche essere un ben vestito guru del business, che propone ai ragazzini modelli irraggiungibili, ostentando muscoli e soldi. La gente pensa ancora che il valore di una persona si misuri dall’apparenza?

«Il detto recita “l’abito non fa il monaco”, ma purtroppo in Italia siamo ancora fermi qui, a giudicare l’apparenza delle persone. Noi siamo stati scherniti anche a Sanremo perchè ritenuti diversi e punk. Oggi si dice, tra l’altro, che questo genere è finito, che non va. Noi ce ne siamo fregati e puntiamo a veicolare il messaggio, e mi sembra che a qualcuno stia arrivando».

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Dopo questo tour dove andrà La Sad?

«Noi siamo nati come artisti indipendenti, poi abbiamo formato La Sad nel 2020. Dopo Sanremo e questi dischi, insomma dopo la frenesia vissuta insieme, abbiamo deciso di prendere per un po’ ognuno la propria strada, in modo da esplorare singolarmente nuovi temi e musica. Però non è la fine, mai dire mai, è solo così per il momento e poi si vedrà».

Il vostro pezzo “Autodistruttivo” ha messo sotto gli occhi di milioni di italiani, sul palco di Sanremo, la sofferenza e la solitudine di un’intera generazione. Voi siete riusciti, con il tempo, a convivere con questo modo di essere?

«Siamo in parte riusciti a emergere da questo turbine di autodistruzione, un sentimento che rende eternamente insoddisfatti e che impedisce di trovare piacere in ciò che si fa. Ora siamo più realizzati e guardandoci intorno ci sentiamo meglio. La cosa che ci ha uniti da sempre è la tristezza e la debolezza, ma metterci insieme e fare musica per uscirne è ciò che ci ha salvato».



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