così il clan Scalisi sfruttava le ristrutturazioni per estorcere denaro

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Un’organizzazione parassitaria, priva di capacità imprenditoriali significative, se non nel settore del traffico di droga che aveva come “core business” l’attività estorsiva, colpendo anche piccoli operatori economici locali, costretti a pagare il “pizzo” per evitare ritorsioni. Viene descritto così da procuratore capo di Catania, Francesco Curcio, il clan Scalisi di Adrano – articolazione territoriale del clan Laudani di Catania – che questa mattina è stato smantellato dalla squadra mobile della questura di Catania nell’operazione “Primus”, che ha portato all’arresto di 21 persone, di cui 20 in carcere e una ancora latitante. 

Le estorsioni legate al Superbonus 110%

Le indagini sul clan Scalisi hanno portato alla luce un sistema di estorsioni radicato e capillare, che colpisce numerosi esercizi commerciali, tra cui panetterie e piccoli operatori economici. Le somme richieste dagli emissari del clan variano dai 300 ai 500 euro, ma potevano raggiungere cifre più elevate a seconda della vittima. I pagamenti seguono una “tradizione consolidata”, con scadenze legate a festività come Pasqua, Natale e Ferragosto, oppure con cadenza mensile.

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Nonostante la gravità della situazione, le indagini hanno evidenziato una sostanziale povertà di denunce da parte delle vittime. “Con grande rammarico, dobbiamo constatare che, tranne in un caso, nessuno ha avuto il coraggio di ribellarsi e denunciare spontaneamente queste vessazioni” – ha detto Curcio. Le estorsioni (13 di cui 8 contestate e 5 senza denuncia) sono emerse grazie al lavoro della polizia, che ha scoperto i pagamenti e i tentativi di estorsione attraverso intercettazioni e servizi di osservazione sul territorio.

Un aspetto interessante emerso dalle indagini riguarda l’estensione delle estorsioni anche a coloro che hanno beneficiato del Superbonus 110%, il contributo statale per la riqualificazione edilizia. Dalle intercettazioni, infatti, è emerso che il clan effettuava calcoli precisi per determinare le somme da estorcere, basandosi sui fondi ricevuti dai beneficiari del bonus. Un dettaglio questo la capacità del clan di adattarsi alle nuove opportunità economiche, sfruttando anche strumenti statali per alimentare le proprie casse.

“U principali”

Un elemento centrale dell’indagine è rappresentato dalla scarcerazione di Alfio Di Primo, figura storica del clan Scalisi, avvenuta nel 2021. Di Primo, classe 1967, è una “vecchia conoscenza” delle forze dell’ordine, essendo stato arrestato per la prima volta nel 1997, all’età di 30 anni, nell’ambito di due diverse operazioni. All’epoca, era ritenuto affiliato al clan Laudani e fu condannato con sentenza definitiva per due omicidi avvenuti durante la guerra di mafia degli anni ’90.

Il primo omicidio, quello di Sebastiano D’Arrigo, detto “Iannone”, risale al 1993 e divenne tristemente noto per le modalità brutali con cui fu commesso: il corpo della vittima fu sepolto con l’ausilio di un escavatore. Il secondo omicidio, avvenuto il 18 marzo 1994, riguardò un altro esponente mafioso di rilievo. Per questi crimini, Di Primo fu condannato a un cumulo di pena di 30 anni, ma grazie a benefici penitenziari e riduzioni di pena, è stato scarcerato nel 2021, dopo aver scontato meno del previsto.

Il suo ritorno ad Adrano è stato accolto con una certa “impazienza” dagli affiliati, che lo hanno subito riconosciuto come leader del clan: “Quando esci u principali?” – veniva chiesto tra gli affiliati. Questo passaggio di potere è stato documentato dalle intercettazioni, che hanno evidenziato come Di Primo abbia ripreso rapidamente il controllo delle attività criminali, riorganizzando il gruppo reclutando nuovi affiliati, molti dei quali giovanissimi, nati tra il 1999 e il 2003. “Questo è un dato significativo”, ha sottolineato Curcio, “perché dimostra come, in certi contesti, non ci sia una reale via d’uscita, e le nuove generazioni vengano coinvolte in attività criminali, perpetuando un ciclo di illegalità”.

L’organigramma 

Le investigazioni hanno permesso di ricostruire l’attuale organigramma del clan Scalisi. Al vertice dell’organizzazione si troverebbe Di Primo, affiancato da Antonino Garofalo, considerato il suo braccio destro e responsabile dell’organizzazione e del coordinamento delle attività criminali. Tra gli affiliati di spicco emergono anche Andrea Stissi e Dario Sangrigoli, ritenuti figure centrali per le loro capacità criminali e il ruolo ricoperto all’interno del gruppo.

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I nomi degli arrestati

Le attività del clan

Il clan Scalisi avrebbe continuato a esercitare un controllo capillare sul territorio di Adrano attraverso attività estorsive e il traffico di sostanze stupefacenti. Le estorsioni, commesse nella tipica forma mafiosa del “pizzo”, avrebbero colpito commercianti e imprenditori locali, costretti a versare somme di denaro agli emissari del clan. Gli investigatori hanno ricostruito diversi episodi di danneggiamento e intimidazione nei confronti di chi si rifiutava di pagare, confermando il clima di paura imposto dall’organizzazione.

Parallelamente, il clan avrebbe gestito un vasto traffico di cocaina e marijuana, approfittando della debolezza operativa di un’altra organizzazione mafiosa adranita, colpita negli anni da numerosi arresti. I proventi del traffico di droga avrebbero rappresentato una fonte costante di finanziamento per le casse dell’organizzazione.

Armi e controllo del territorio

Per garantire il controllo del territorio e proteggere i propri affari criminali, il clan Scalisi si sarebbe dotato di un arsenale di armi da fuoco. Queste sarebbero state utilizzate sia per intimidire i commercianti sia per fronteggiare eventuali ingerenze da parte di gruppi mafiosi rivali. Tra le attività di riscontro svolte durante le indagini, nell’agosto 2022 è stato arrestato Dario Sangrigoli, trovato in possesso di un fucile a canne mozze e 76 grammi di cocaina. L’arresto è avvenuto in un contesto di possibile tensione con il clan Santangelo, altro gruppo mafioso attivo ad Adrano.

Una mafia “meno violenta”, ma ancora radicata

Nonostante il clan Scalisi continui a esercitare un controllo capillare sul territorio, gli investigatori hanno rilevato un cambiamento rispetto al passato. “Non siamo più ai tempi in cui si sparava per risolvere i conflitti” – ha aggiunto Curcio. “Probabilmente, si è compreso che la violenza esplicita porta solo a risultati negativi. Il clan, però ha continuato a permeare il territorio con la sua presenza, puntando su attività come il traffico di stupefacenti e le estorsioni”.

Infine un altro passaggio sulla capacità di comando “senza tempo” di Di Primo “Non è il primo caso in cui un soggetto di spicco, dopo aver scontato la pena, torna sul territorio di provenienza e riprende le stesse attività criminali”, hanno concluso gli inquirenti. “Questo è forse l’aspetto più sconfortante: la difficoltà di spezzare un ciclo che sembra ripetersi immutato nel tempo”.

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