René Benko, l’Austria dice «no» all’estradizione del magnate: «Inammissibile la consegna all’Italia»

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di
Dafne Roat

Per la procura di Trento, Benko tirava le fila del sodalizio svelato dall’indagine che ha scosso il Trentino

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Non tornerà in Italia. René Benko, il magnate austriaco, fondatore di Signa e ritenuto il capo della presunta associazione criminale infiltrata nel tessuto politico ed economico della regione, non sarà estradato dall’Austria. Sul noto imprenditore pende un mandato d’arresto europeo, ma il Tribunale regionale di Innsbruck ha stabilito che «la consegna all’Italia è inammissibile». Il motivo è che Benko è un cittadino austriaco ed esiste una disposizione costituzionale secondo la quale i cittadini austriaci non possono essere estradati per presunti reati per i quali possono essere indagati anche in Austria. Il magnate resterà quindi nel suo Paese, probabilmente per diverso tempo, nonostante i suoi interessi in Italia e le numerose proprietà. Benko risulta ricercato anche da altri Paesi. È lui, secondo la Procura di Trento, a tirare le fila del sodalizio svelato dall’indagine dei carabinieri del Ros di Trento e della Finanza sugli intrecci tra politica e affari che ha portato a inizio dicembre a 8 arresti (le ordinanze erano 9, ma Benko è ancora libero) e 77 indagati.

La difesa

Intanto ieri, 17 dicembre, sono scese in campo le difese di sette, degli otto indagati raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, firmata dal giudice Enrico Borrelli, che hanno chiesto la revoca della misura al Tribunale del Riesame. Hanno presentato ricorso il commercialista bolzanino Heinz Peter Hager, ritenuto il braccio destro di Benko, l’imprenditore trentino Paolo Signoretti, gli architetti altoatesini Fabio Rossa e Andrea Saccani, il consulente Lorenzo Barzon, la funzionaria del Comune di Bolzano, Daniela Eisenstcken e l’ex senatore, Vittorio Fravezzi, difeso da Nicola Degaudenz. Solo la sindaca di Riva del Garda, Cristina Santi, non ha presentato ricorso davanti al collegio, presieduto dalla giudice Laura Di Bernardi con a latere i colleghi Marta Schiavo e Massimo Rigon, perché ha già ottenuto la revoca della misura al termine del lungo interrogatorio di garanzia davanti al gip.




















































L’udienza è iniziata attorno alle dieci. Gli avvocati hanno parlato per circa quattro ore, una lunga discussione che si è incentrata in particolare sulle esigenze cautelari e sull’insussistenza dell’accusa di associazione a delinquere e dell’aggravante del metodo mafioso. Ma i legali hanno contestato anche le esigenze cautelari. «Sono fatti risalenti nel tempo e quindi non ci sono esigenze», hanno osservato. Le difese, che hanno tentato di minare le basi dell’impianto accusatorio, incalzati dai due pm Davide Ognibene e Alessandro Clemente, non sono entrati nel merito dei singoli episodi, ma hanno concentrato sull’ossatura dell’indagine. I sette sono indagati per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di diversi reati contro la pubblica amministrazione aggravata dal metodo mafioso. Ipotesi, questa, «totalmente insussistente» secondo l’avvocato Giovanni Rambaldi che difende Signoretti: «Non ci sono fatti che possano configurare il metodo mafioso». Per Rambaldi vengono meno anche i presupposti dell’associazione a delinquere in quanto «le contestazioni sono frammentate, non c’è un programma generale e alcuni degli indagati non si conoscono neppure».

«Non ci sono le esigenze cautelari»

Stesso ragionamento degli avvocati Beniamino e Luca Migliucci che difendono Barzon e gli architetti Rossa e Saccani. «Nel caso dei miei assistiti — osserva il legale a margine dell’udienza — i reati, se esistenti, risalgono al 2020 e stiamo parlando di un’indagine che va avanti da 4 anni con intercettazioni e sequestri. Non ci sono le esigenze cautelari». Poi aggiunge: «L’aggravante del metodo mafioso, inoltre, può essere collegata a un reato fine, non si può contestare l’associazione semplice con l’aggravante del metodo mafioso, o è semplice o è associazione mafiosa». Concorda con i colleghi anche l’avvocato Carlo Bertacchi, che difende Hager, che ha cercato di smantellare l’impianto accusatorio dalle basi: «Senza l’aggravante —osserva— cade tutta l’impalcatura delle esigenze cautelari».
Ora si attende la decisione del Riesame che potrebbe arrivare nelle prossime ore, la scorsa settimana il gip aveva confermato tutte le misure.

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18 dicembre 2024 ( modifica il 18 dicembre 2024 | 15:52)

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