Le quattro nubi che gravano sull’economia del Nord Est

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I dati sull’occupazione in calo, le aziende che frenano gli investimenti a causa delle difficoltà ad accedere al piano Transizione 5.0, le crisi geopolitiche che pesano sulle esportazioni delle imprese. Sono le ombre che incombono sul tessuto economico del Nord Est tanto che sia Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto, che Michelangelo Agrusti, presidente di Confindustria Alto Adriatico, hanno lanciato segnali di allarme in vista del primo semestre del 2025. Un periodo in cui saranno anche chiare le intenzioni della nuova amministrazione americana guidata da Donald Trump in merito all’introduzione di dazi.

«L’ultimo report di Veneto Lavoro registra un arretramento delle assunzioni rispetto ad ottobre 2023», ha spiegato Carraro, «i dati parlano di una flessione del 6,6% nell’industria meccanica e del 10% nel settore del Made in Italy. L’export flette a livello nazionale di un 1% e il Veneto non fa meglio».

«Siamo in un’economia di guerra, anche se forse non ce ne siamo accorti», aveva invece sottolineato Agrusti, «sono spariti interi mercati, come la Russia e l’Ucraina, e scontiamo i dazi nei rapporti con la Cina. Siamo comunque strutturati per reggere alle intemperie. I nostri imprenditori e le nostre Pmi sono capaci di resistere. Faccio presente che ci sono aziende che fanno ricorso alla cassa integrazione, ma non vere crisi aziendali in atto».

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Ma sullo sfondo c’è anche un tema di difficoltà ad attrarre capitali stranieri, soprattutto in Veneto, come hanno dimostrato sia i casi di Intel che di Silicon Box, due multinazionali che hanno deciso di portare altrove i loro stabilimenti.

«Fin dal giorno zero del mio mandato», ha infatti aggiunto Carraro, avevo un obiettivo che non sono ancora riuscito a raggiungere: una legge regionale sull’attrazione degli investimenti che dia stabilità e respiro allo sviluppo economico del nostro territorio. Ebbene questa legge esiste ma attualmente è ferma in Consiglio regionale. La politica ha sempre privilegiato l’idea del piccolo è bello, ma le dimensioni contano e in una chiave di politica industriale senza poter fare conto su capi filiera si rimane al traino di altri territori e altri interessi».

Occupazione ai massimi con l’incognita assintegrazione

La fotografia da consegnare agli archivi, sul fronte dell’occupazione, è quanto mai nitida. In Veneto e in Friuli Venezia Giulia la forza lavoro è ai massimi storici e i disoccupati, soprattutto se maschi nella fascia tra 15 e 64 anni, sono davvero una rarità.

Per quanto riguarda le stime per il 2025 in Friuli Venezia Giulia il tasso di occupazione, secondo le previsioni di Confindustria Udine che valgono per l’intera regione, si attesterà al 70,4% rispetto al 69,8% di fine 2024, mentre il tasso di disoccupazione aumenterà leggermente, dal 4,4% attuale al 4,6% dell’anno prossimo.

Il Veneto chiude l’anno con un tasso di occupazione pari al 70,6%, quarta performance positiva italiana, dopo Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Toscana e un indice di senza lavoro di poco superiore al 3%, mentre era del 4,2% nel 2023.

Secondo l’ultimo report di Veneto Lavoro, nonostante il calo del ritmo delle assunzioni nell’industria nel periodo gennaio-novembre, 141.118 addetti rispetto ai 151.479 del 2023, il bilancio del mercato complessivo in Veneto si mantiene positivo nel corso del 2024 (+42 mila posti di lavoro grazie a turismo e servizi), confermando il trend di crescita dell’occupazione. Si conferma il rallentamento della crescita occupazionale nel settore industriale (-7% nel 2024) dove si fanno sempre più evidenti gli effetti delle difficoltà attraversate dal metalmeccanico e alcuni ambiti del made in Italy.

A novembre si registra una nuova flessione della domanda di lavoro nel metalmeccanico e un saldo occupazionale negativo nei comparti del tessile-abbigliamento, delle calzature e della concia. Il trend di rallentamento dovrebbe riguardare anche il primo trimestre del 2025. Pesa, infine, il ricorso alla cassa integrazione che nei comparti più sensibili alla crisi tedesca, come automotive, elettrodomestici e acciaio, da ottobre in poi ha avuto un’impennata, sia in Veneto che in Fvg. 

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 Export in flessione ma si attende un rimbalzo

 Il grande malato d’Europa, la Germania, da sempre considerata vera e propria locomotiva economica del vecchio continente, segnerà i destini delle esportazioni del Nord Est anche nel 2025. «Manifattura e automotive continueranno a soffrire – osserva il ricercatore Ires Fvg Alessandro Russo – . Per le province di Udine e Pordenone i dati sono particolarmente negativi, mentre Gorizia e Trieste sono più al riparo, influenzate dalla cantieristica che ha dinamiche particolare e Fincantieri ha comunque un portafoglio ordini importante, da spalmare nei prossimi anni».

Gli ultimi dati che si riferiscono al periodo gennaio-settembre 2024, vedono proprio il Friuli Venezia Giulia, nella macroarea nordestina, più penalizzato nelle vendite all’estero, con un -4,9% rispetto allo stesso periodo del 2023 (elaborazione Ires su dati Istat) e 14 miliardi 214 milioni di euro in valore, contro i 14 miliardi 944 milioni del 2023 (-729 milioni di euro). Il Veneto se la cava un po’ meglio con una variazione del -2,6% e 59 miliardi 471 milioni di export, mentre tra gennaio e settembre 2023 si era arrivati a quota 61 miliardi 32 milioni di euro.

La flessione, da un anno all’altro, è stata dunque di un miliardo 561 milioni di euro. In merito alle destinazioni geografiche dell’export delle imprese regionali, si osservano flessioni in relazione ai principali Paesi partner commerciali, tra cui Stati Uniti (-3,4%), Germania (-8,7%), Austria (-18,7%).

Per l’anno prossimo le stime di Confindustria Udine per il Friuli Venezia Giulia prevedono un +3,5% di esportazioni, segno che dovrebbe essere positivo anche per il Veneto. Ma oltre alla congiuntura non favorevole in Europa, c’è da considerare anche un’altra variabile, ovvero la possibile introduzione di dazi su alcune merci da parte degli Stati Uniti.

Investimenti in calo: il Pnrr non compensa il taglio dei bonus

Meno investimenti. Dopo un quadriennio 2021-2024 che, in particolare a Nord Est, ha visto un vero e proprio boom delle spese delle aziende per tecnologia, ammodernamenti strutturali, formazione del personale, il 2025 rappresenterà una battuta d’arresto. «In un quadro di elevata incertezza geopolitica e di attesa riguardo alla riduzione dei tassi di interesse – si legge nell’aggiornamento congiunturale di novembre di Bankitalia riguardante il Veneto – , gli imprenditori industriali intervistati dalla Banca d’Italia nella scorsa primavera programmavano per il 2024 una prosecuzione della riduzione degli investimenti.

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La rilevazione autunnale conferma le attese: quasi i due terzi delle imprese regionali stanno rispettando la pianificazione per il 2024 e i casi di revisioni al ribasso degli investimenti prevalgono leggermente su quelli di revisioni al rialzo. Anche per il 2025 i programmi si confermano prudenti: quasi i due terzi delle imprese prevedono di mantenere invariati gli investimenti rispetto al 2024 e il saldo tra casi di aumento e di riduzione degli investimenti è lievemente negativo».

In Friuli Venezia Giulia, invece, secondo le elaborazioni di Confindustria Udine su dati Istat e Prometeia, il calo degli investimenti fissi nel 2025 sarà di -1,9%, mentre il 2024 chiude con un piccolo segno positivo, +2,3%. Dopo il calo (-8,3%) del 2020 contrassegnato dal Covid, gli investimenti delle imprese si sono impennati nel 2021 (+22,7%) e sono rimasti sostenuti nel 2022 (+6,9%) e nel 2023 (+4,3%).

Sul quadro attuale pesa il venir meno degli incentivi nelle costruzioni, compensati solo in parte dall’attuazione delle misure del Pnrr per opere pubbliche, e dalla ripresa degli investimenti in impianti e macchinari, spinti dagli incentivi 5.0 e da un minor costo del credito.

Attrazione di capitali: Veneto e Fvg in ordine sparso

Per attrarre gli investimenti esteri Veneto e Friuli Venezia Giulia non hanno una strategia comune. Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto, ha spiegato infatti che è bloccata in Consiglio regionale la legge per favorire gli investimenti dall’estero. «È tra le nostre priorità per il 2025», assicura da Venezia Roberto Ciambetti, presidente a Palazzo Ferro Fini a Venezia.

Si tratta della norma già approvata dalla giunta regionale che è focalizzata sulla creazione di “opportunità straordinarie” per gli imprenditori interessati a fare impresa in Veneto. Prevede un budget di 44 milioni circa e un taglio dell’1% dell’Irap con l’obiettivo di semplificare gli iter amministrativi e normativi per agevolare gli investitori. Il provvedimento «mira a favorire l’insediamento di nuove imprese, l’espansione di aziende esistenti e la riconversione produttiva». Una norma che, per la Regione, può generare investimenti per oltre 126 milioni attraverso circa 60 progetti industriali.

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In Friuli Venezia Giulia è invece nata da poco “Select Friuli Venezia Giulia”, un calco diretto di SelectUsa, l’agenzia più grande al mondo che si occupa di attrazione di investimenti esteri diretti. Si tratta in realtà di un rebranding del ramo dell’Agenzia Lavoro & Sviluppoimpresa che si occupa di queste attività, con l’obiettivo di essere più immediatamente riconoscibile per gli investitori esteri.

L’agenzia, istituita nella scorsa legislatura, ha già raggiunto risultati importanti in questo campo: dal 2020 al 2023 sono stati annunciati investimenti per 1,5 miliardi di euro e 2.500 nuovi posti di lavoro. Da gennaio l’agenzia passerà sotto la governance della presidenza della Regione, per facilitare il coordinamento tra gli assessorati. Due i compiti principali di Select Friuli Venezia Giulia: raccogliere dati del territorio da presentare alle imprese estere e accompagnarle nell’interazione con la pubblica amministrazione. —



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