Giornata internazionale dei migranti: in fuga da guerre e crisi climatica. Ma le politiche vanno cambiate

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Le pagine dei giornali, cartacei o online che siano, si riempiono periodicamente di notizie sulle guerre. Da una parte c’è quella in Ucraina, dall’altra quella in Medio Oriente, che non riguarda più solo Israele e Palestina ma anche Libano e, ora, anche la Siria. Cronisti e analisti ci raccontano cosa avviene sul campo, ci parlano delle dinamiche geopolitiche, mentre i governi nel mondo provano a discutere di accordi e influenze economiche.

Ci sembra tutto distante, come fosse una situazione che non ci riguarda davvero. Eppure, queste guerre hanno un impatto concreto sulla vita di milioni di persone e anche sulla nostra, in Italia e in Europa. Perché le guerre spingono sempre le persone a mettersi in salvo e quindi a migrare per cercare una via di scampo.

Quante persone ci sono in cammino in questo momento? Li chiamiamo con il termine collettivo di migranti, ma sono uomini, donne e bambini che affrontano pericoli di ogni genere con l’unico obiettivo di trovare una vita migliore. È per rappresentare tutti loro che il 18 dicembre si celebra la Giornata internazionale dei migranti, proclamata dalle Nazioni Unite nel 2000. Oggi, più che mai occorrerebbe fermarsi un attimo a riflettere sulle migrazioni, al di là degli stereotipi e delle strumentalizzazioni della politica. Perché sono, spesso, proprio le scelte dei governi a incidere sulle migrazioni: a procurarle o a dirottarle, a seconda della situazione e a seconda dei Paesi.

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Partendo dai due conflitti più vicini a noi, possiamo dire che la guerra a Gaza e poi in Libano ha spinto migliaia e migliaia di persone a lasciare la propria casa. E nello specifico, dal sud del Libano, dalla zona di Tiro, circa 1milione di persone sono state sgomberate dall’esercito israeliano poche ore prima, a volte minuti, di un bombardamento a tappeto. Tutte queste persone, in parte libanesi, in parte siriani scappati dieci anni prima in Libano dalla guerra nel proprio Paese, sono state spostate verso il nord. Alcuni di loro non potranno tornare, perché la loro casa è stata sbriciolata. 

Altri, stanno tornando o torneranno nei prossimi mesi, ma molti altri, invece, hanno deciso di emigrare. Il numero di rifugiati libanesi che si è spostato in Siria arriva quasi a 800mila. Di queste, un’alta percentuale non si è fermata in Siria, dove in quel momento c’era ancora il regime di Bashar al Assad, ma ha proseguito il cammino verso la Turchia per poi tentare il viaggio verso l’Europa. Via mare, dalla zona di Smirne, o via da terra, dal confine bulgaro e risalendo, poi, tutta la rotta balcanica. Queste persone, senza alcuna colpa, sono divenute migranti per colpa della guerra e quando c’è una crisi, l’istinto è quello di mettersi al riparo. Magari riunendosi ai parenti che già vivono in Europa. Lo faremmo anche noi nelle stesse condizioni.

Diversa la situazione per l’Ucraina. Dopo l’invasione della Russia, milioni di persone sono scappate dalle proprie case e sono arrivate in Europa attraverso il confine polacco. Ma l’atteggiamento della società civile è stato decisamente diverso dal solito: nessuno ha gridato all’invasione, nessuno ha chiuso le porte in faccia né tantomeno sbarrato i confini. Al contrario, la solidarietà europea, com’è giusto che sia stato, ha accolto circa 6milioni di ucraini che hanno avuto l’opportunità per i mesi successivi di vivere in condizioni di benessere e tranquillità, per quanto possibile con una guerra in casa e parenti e amici ancora sotto le bombe. La situazione ucraina ha dimostrato che, quando c’è volontà politica, non solo l’accoglienza è possibile ma è anche gestibile con dignità e tranquillità.

Medio Oriente e Ucraina sono le guerre più vicine, ma nel mondo, attualmente, ci sono ben 56 conflitti in atto che continuano a spingere persone a migrare. Secondo l’Osservatorio Migrante, a metà 2024 nel mondo c’erano 122,6 milioni persone. In fuga da guerre, certo, ma anche da persecuzioni, violazioni dei diritti umani, crisi sociali e catastrofi naturali. Praticamente, 1 abitante del mondo su 67 è costretto a lasciare la propria casa. Di tutte le persone che emigrano, non tutte compiono viaggi lunghissimi e pericolosi.

In realtà, al contrario di quanti si possa pensare, coloro che scelgono rotte come quella del Mediterraneo centrale, quella balcanica, quella del deserto, quella oceanica fino alle Canarie, sono la minoranza. Oltre il 69% delle persone in fuga, infatti, si sposta nei Paesi confinanti, mentre 68,3 milioni di persone sono addirittura sfollate all’interno del proprio stesso Paese. Di questi 122 milioni di persone in fuga 20 milioni sono bambine e bambini non accompagnati, proprio come Jasmine, la bambina di 11 anni originaria della Sierra Leone salvata qualche giorno fa nel Mediterraneo, unica superstite di un naufragio avvenuto al largo della Tunisia.

Le politiche occidentali sulle migrazioni, in particolare quella europea, non sono efficaci, perché criminalizzano il soccorso in mare, bloccando le Ong attive nel Mediterraneo (le quali salvano solo il 2% delle persone che sbarcano sulle coste italiane) e smantellano il sistema di accoglienza, rendendo sempre di più difficile il percorso per la richiesta di asilo politico. La chiusura indiscriminata delle frontiere senza una pianificazione di corridoi umanitari non blocca le migrazioni, arricchisce la rete internazionale del traffico.

La giornata internazionale delle migrazioni punta, dunque, a riflettere sui vari problemi legati al fenomeno migratorio e vuole spingere i governi anche a prendere in considerazione una serie di tematiche che, attualmente, non vengono considerate. Il problema della crisi climatica, per esempio, è ancora troppo sottovalutato ma intanto, secondo i calcoli, entro il 2050 sono previsti 1 miliardo di migranti ambientali, cioè spinti da disastri naturali. Sta già avvenendo in alcune zone del Bangladesh e del Pakistan. Proprio per questo i Paesi dovrebbero abbandonare l’attuale approccio al tema per avviare, invece, una discussione seria su come affrontare le cause strutturali della migrazione, senza dimenticare i diritti umani e integrazione sociale.

Le guerre scoppiano all’improvviso, anche se noi tutti ci auguriamo che non accasa, e altrettanto inaspettatamente anche noi un giorno potremmo trovarci a diventare migranti.

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