CPI, un futuro incerto – atlante guerre

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di Pierpaolo Petrelli *

La ventitreesima sessione dell’Assemblea degli Stati Parti (ASP23) della Corte Penale Internazionale (CPI), svoltasi a L’Aia dal 2 al 7 dicembre 2024, ha riaffermato l’importanza della giustizia internazionale nel combattere l’impunità per i crimini più gravi. Tuttavia, le dichiarazioni emerse durante l’evento hanno evidenziato profonde sfide strutturali, legate soprattutto al rapporto controverso con il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) e alla persistente mancanza di cooperazione da parte di molti Stati Parti.

Il Consiglio di Sicurezza, che dovrebbe rappresentare un pilastro del sistema di giustizia internazionale, è stato duramente criticato dai rappresentanti della CPI. Il Presidente della Corte, Tomoko Akane, ha denunciato le pressioni esercitate da alcuni membri permanenti, tra cui sanzioni economiche e misure coercitive contro funzionari della CPI. Questi attacchi, definiti “senza precedenti”, minano l’indipendenza della Corte e creano un pericoloso precedente per la comunità internazionale. Il Procuratore Karim Khan ha sottolineato un altro problema strutturale: il Consiglio di Sicurezza rinvia situazioni alla CPI, come nei casi del Darfur e della Libia, senza però garantire il necessario supporto operativo per l’esecuzione dei mandati di arresto. Questo doppio standard, derivante da logiche politiche, indebolisce la credibilità della CPI e compromette la fiducia nel sistema internazionale.

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Oltre alle difficoltà con il Consiglio di Sicurezza, la CPI deve affrontare la cooperazione carente degli Stati Parti. Con trenta mandati di arresto ancora ineseguiti, la Corte si trova spesso bloccata nella sua azione. Alcuni Stati non solo si rifiutano di collaborare, ma continuano a ospitare individui ricercati, violando gli obblighi statutari. Questa inazione non è solo un ostacolo operativo, ma rappresenta un chiaro fallimento nel garantire giustizia alle vittime. Un esempio emblematico di questa debolezza è il Trust Fund for Victims, che fatica a ottenere i fondi necessari per attuare le riparazioni ordinate nei casi Ongwen e Ntaganda. La dipendenza dai contributi volontari, spesso incerti e insufficienti, lascia le vittime prive del supporto promesso, contraddicendo lo spirito di giustizia riparativa sancito dallo Statuto di Roma.

Nonostante l’ASP23 abbia fornito una piattaforma per affrontare queste questioni, rimangono numerosi limiti nelle soluzioni proposte. L’Assemblea si è concentrata su dichiarazioni di principio senza però introdurre meccanismi vincolanti per affrontare l’inadempienza degli Stati o riformare il rapporto con il Consiglio di Sicurezza. La mancanza di innovazione strategica è un ulteriore problema: mentre il mondo affronta nuove forme di crimini internazionali, come quelli legati al cambiamento climatico o alla sicurezza informatica, la CPI fatica ad adattarsi e a rispondere a queste sfide emergenti.

Nonostante queste criticità, sono emerse alcune proposte che potrebbero rafforzare la Corte. Depoliticizzare il Consiglio di Sicurezza rappresenta una priorità, introducendo criteri oggettivi per i rinvii e assicurando un impegno vincolante per supportare la CPI nelle fasi operative. Parallelamente, l’Assemblea dovrebbe istituire meccanismi di responsabilità per gli Stati Parti, come sanzioni diplomatiche per la mancata cooperazione, affiancati da incentivi concreti per incoraggiare la collaborazione. È necessario anche un sistema di finanziamenti obbligatori, in grado di garantire risorse prevedibili per operazioni essenziali e riparazioni. Infine, la CPI deve abbracciare strategie innovative, collaborando con altre istituzioni internazionali per affrontare crimini emergenti e rafforzando il dialogo regionale con organismi come l’Unione Africana e l’Unione Europea.

L’ASP23 ha mostrato chiaramente che il futuro della CPI dipende dalla volontà collettiva degli Stati Parti di sostenere la Corte, sia politicamente che finanziariamente. Senza un impegno concreto per superare le debolezze strutturali evidenziate, il rischio è che la promessa di “mai più impunità” rimanga un’utopia. La giustizia internazionale è un progetto ambizioso, ma realizzabile: servono però azioni coraggiose e una determinazione collettiva per trasformare le parole in risultati tangibili.

Nella foto in copertina, la sede della CPI a L’Aia (©Friemann/Stutterstock.com)

* Pierpaolo Petrelli, docente alla O.P. Jindal Global University di Diritto e Terrorismo transnazionale





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