Cattura e stoccaggio della CO2: come un sistema inefficace è entrato nelle politiche green dell’Ue

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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

Le lobby del petrolio e del gas hanno contribuito a spingere gli impianti di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica nei piani climatici europei, nonostante il loro impatto sulla riduzione delle emissioni sia pressoché nullo

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Una tecnologia progettata per estrarre più petrolio dai giacimenti non sembra l’approccio più promettente per trovare una soluzione al cambiamento climatico.

Ma la cattura e lo stoccaggio della CO2 (Carbon capture and storage, Ccs), un mezzo per catturare l’anidride carbonica quando viene rilasciata e immagazzinarla, è diventata una risposta sempre più forte alla domanda su come mantenere il pianeta abitabile.

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Il problema, secondo gli esperti, è che la sua efficacia viene gonfiata a dismisura a scapito di una vera azione per il clima, complice la mancanza di comprensione da parte del pubblico. Cerchiamo di capire, quindi, cosa è esattamente la CCS, dove è nata e dove l’industria sta cercando di portarla.

Un’enorme espansione degli impianti di cattura e stoccaggio della CO2 è all’orizzonte

Attualmente, esistono cinquanta impianti Ccs commerciali in tutto il mondo, in grado di catturare circa cinquanta milioni di tonnellate di CO2 all’anno (Mtpa), secondo Statista. Si tratta solo dello 0,1 per cento dei 36,8 miliardi di tonnellate emessi nel 2023.

Nonostante gli scarsi risultati, la Ccs sta diventando un elemento portante dei piani climatici globali. Al vertice delle Nazioni Unite sul clima dello scorso anno, i sostenitori della Ccs (in gran parte legati alle industrie dei combustibili fossili) hanno ottenuto una vittoria significativa con l’approvazione delle “tecnologie di abbattimento e rimozione” nell’accordo. Circa 500 lobbisti della Ccs erano presenti anche alla COP29 il mese scorso.

Per chi si occupa diel problema del riscaldamento globale, concentrarsi sulle emissioni “nette”, invece di tagliare le emissioni alla fonte, è profondamente pericoloso.

“La Ccs, l’ancora di salvezza dell’industria e l’ultima tattica dilatoria, è una cortina fumogena per la quale non dobbiamo cadere”, ha dichiarato Lili Fuhr, direttrice del programma sull’economia fossile del Center for international environmental law (Ciel).

L’opinione pubblica è poco informata sulla Ccs. Ma con i vasti piani di espansione, l’infrastruttura è destinata a diventare molto più presente nella vita delle persone. E soprattutto, tutti noi siamo interessati al suo impatto sul cambiamento climatico.

Come funziona il sistema di cattura e stoccaggio della CO2

La Ccs è il processo di cattura di parte dell’anidride carbonica generata da grandi impianti industriali prima che possa essere rilasciata nell’atmosfera.

Il gas viene quindi compresso allo stato liquido, trasportato tramite conduttura (o nave, ferrovia o autocisterna) e accumulato in un sito di stoccaggio sotterraneo. La maggior parte dei siti è costituita da rocce porose sormontate da rocce impermeabili per cercare di trattenere la CO2. Sono spesso giacimenti di petrolio e gas esauriti, di metano o acquiferi salini profondi.

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La Ccs è associata a una serie di altre soluzioni tecnologiche. Spesso viene usata in modo intercambiabile con la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio (Ccus), che comprende anche l’uso della CO2 catturata per produrre cemento, prodotti chimici, plastiche, fertilizzanti e carburanti.

A differenza delle emissioni da combustione, le emissioni necessarie per la produzione di questi prodotti sono spesso presentate dalle aziende come un inquinamento inevitabile, che può essere risolto solo con la Ccs.

Da dove arriva l’idea di catturare la CO2

Normalmente, quando la CO2 viene separata dal gas “naturale”, viene semplicemente espulsa nell’atmosfera. Nel 1972, i petrolieri del Texas scoprirono che potevano iniettare l’anidride carbonica catturata in un giacimento petrolifero per pompare più petrolio. Secondo l’Institute for energy economics and financial analysis, questo processo di miglioramento del recupero del petrolio (Eor) rappresenta ancora oggi circa il 73% dell’utilizzo della CO2 catturata.

Nel 1976, il fisico italiano Cesare Marchetti ha poi teorizzato un impiego più vantaggioso per la CO2: immagazzinarla nel sottosuolo o in mare per evitare cambiamenti sul clima. Per saperne di più su chi, già negli anni Settanta, era a conoscenza delle conseguenze dello sfruttamento estremo dei combustibili fossili sui cambiamenti climatici ma non ha lanciato l’allarme, si veda anche ExxonMobil.

Solo nel 1996 è stato avviato in Norvegia il primo grande progetto di Ccs finalizzato alla riduzione delle emissioni. Il giacimento di gas di Sleipner, situato nel mezzo del Mare del Nord, cattura tuttora la maggior quantità di CO2 in Europa. Da allora si sono aggiunti solo pochi siti: Snøhvit, un altro progetto offshore norvegese sulla cui efficacia sono stati espressi forti dubbi, Orca in Islanda (Dac+S) e Ravenna Ccs in Italia, realizzato da Eni.

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Data questa reputazione, è inevitabile chiedersi perché la Ccs è tornata sulla scena come se fosse la migliore soluzione al cambiamento climatico.

Perché la Ccs è tornata alla ribalta

Belén Balanyá, ricercatrice e attivista del Corporate Europe observatory (Ceo), segue da 25 anni le attività di lobbying dell’industria dei combustibili fossili, che l’hanno portata a concentrarsi di recente sulla Ccs.

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“Se si guarda a ciò che è all’ordine del giorno, si tratta sempre di fughe per rimanere in affari”, spiega a Euronews Green. “È dove si muovono quando sono costretti a farlo, quando c’è più conoscenza e più accettazione del cambiamento climatico e del loro ruolo e del fatto che devono decarbonizzarsi“.

Ccs: una delle tecnologie per la net zero

Balanyá vede una serie di fattori alla base della “rinascita” della Ccs negli ultimi anni, ma la fa risalire principalmente alla spinta verso la net zero.

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Con l’aggravarsi della crisi climatica e la riluttanza dei governi a occuparsi dei profondi tagli alle emissioni, i politici sono costretti a fare sempre più affidamento su soluzioni tecnologiche al servizio della “neutralità climatica” del futuro.

Incaricato di analizzare la Ccs, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc) ha incluso la tecnologia nei suoi rapporti più recenti, creando una sorta di circuito di retroazione della legittimità che l’industria sta utilizzando per rafforzare la sua tesi. Gli scienziati prevedono un ruolo limitato per questa tecnologia nel percorso che intende mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C rispetto alle medie preindustriali, a differenza delle energie rinnovabili e di altre soluzioni importanti.

È sorprendente che solo negli ultimi anni il gas fossile sia diventato un combustibile “pulito” (e quindi un “ponte” verso le energie rinnovabili). Le speranze industriali sono ora riposte nell’idrogeno gassoso, che è pulito solo quanto i combustibili che lo producono. L’idrogeno ha contribuito a riportare in auge la tecnologia Ccs, ad esempio grazie al suo ruolo di protagonista nel Green Deal europeo.

Nell’ambito di questo progetto, la strategia di gestione industriale del carbonio (Icms) dell’Ue prevede di catturare 450 Mtpa di CO2 entro il 2050, un aumento sbalorditivo rispetto alla cifra attuale di un Mt all’anno, secondo il recente rapporto “Carbon Coup” del Corporate Europe observatory. Come sottolinea anche il Global Ccs Institute, ciò richiederà un “massiccio aumento” in tutta Europa, di infrastrutture di trasporto e stoccaggio, di finanziamenti e di partecipazione pubblica.

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Stretti tra la concorrenza cinese e gli investimenti statunitensi

In totale, secondo il Global Ccs Institute, in Europa sono in fase di realizzazione 186 progetti commerciali di Ccs.

La rinascita della Ccs nell’Ue è anche in parte una reazione all’Inflation Reduction Act americano, che ha aumentato in modo significativo i sussidi governativi per l’industria della cattura del carbonio.

Balanyá suggerisce che i politici europei erano desiderosi di recuperare il ritardo, soprattutto dopo aver già perso importanti corse alla tecnologia pulita come quella solare a favore della Cina. L’industria dei combustibili fossili e le sue lobby stavano proprio aspettando un’occasione come questa.

Il rapporto del Ceo mette in luce una scomoda vicinanza tra i gruppi dominati dall’industria e gli organi dell’Ue. Istituito dalla Commissione europea nel 2021, il Forum Ccus (ora Forum sulla gestione industriale del carbonio, Icm) è un evento annuale con gruppi di lavoro che alimentano direttamente le politiche dell’Ue.

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Ma ogni gruppo è stato co-presieduto dall’industria dei combustibili fossili o da organizzazioni associate.

Dopo aver seguito l’ultimo Forum Icm, tenutosi in ottobre nella città francese di Pau, Rachel Kennerley, responsabile della campagna internazionale per la cattura del carbonio presso il Center for international environmental law, è rimasta colpita da un punto di accordo tra gli attivisti e i lobbisti: non esiste un precedente commerciale funzionante per la Ccs. Nonostante tale ammissione, i lobbisti affermano che l’Ue deve creare il mercato, anche attraverso finanziamenti pubblici.

Come i difensori delle Ccs stanno cercando di influenzare l’opinione pubblica

La strategia dell’Ue per la gestione industriale del carbonio promette di utilizzare il forum Icm per “stimolare il dibattito pubblico e aumentare la comprensione e la consapevolezza del pubblico sulla gestione industriale dell’anidride carbonica”.

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Tuttavia, il primo documento del gruppo di lavoro sulla percezione dei cittadini, dello scorso anno, rivela un’intenzione più specifica di “stabilire la legittimità della tecnologia Ccus tra il pubblico”.

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Questa discrepanza tra informare e persuadere le persone crea un eco in altre parti della discussione sulla Ccs. A Pau, Kennerley ha sentito i relatori lavorare sui modi e i tempi migliori per i promotori di rendere pubblici i progetti, al fine di coinvolgere le comunità locali.

“L’industria della cattura della CO2 sta usando il termine ‘gestione della CO2’ come paravento. Suona benevolo, ma in realtà non possiamo ‘gestire’ le emissioni”, afferma l’esperta.

“La portata dell’infrastruttura Ccs che sarebbe necessaria per i piani europei è enorme, e comprende migliaia di chilometri di condotte attraverso la terraferma e in acque costiere e profonde. Le sfide tecniche e di sicurezza sono formidabili. L’industria dovrà spingere un macigno in salita per sempre per convincere l’opinione pubblica che si tratta di una buona idea”.

Nei prossimi mesi, Euronews Green darà un’occhiata più da vicino ad alcuni di questi progetti e alle strategie di pubbliche relazioni ideate per portarli avanti.

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