Corti di giustizia e asilo. Da Mattarella lezione di diritto

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Quando il capo dello Stato, nel corso del suo discorso agli ambasciatori, arriva al passaggio sul «diritto d’asilo per lo straniero cui venga impedito nel suo Paese l’esercizio delle libertà democratiche» è inevitabile rapportarlo alla frase strillata il giorno prima da Giorgia Meloni nel corso del comizio conclusivo di Atreju, tanto virulento da fare il paio con quello famigerato tenuto anni fa in Spagna: «I centri in Albania funzioneranno dovessi passarci ogni notte di qui alla fine del governo italiano». Perché quella determinazione furibonda e caparbia proprio non si coniuga con «la stabilità di un posizionamento nei princìpi definiti dalla Costituzione» a cui fa riferimento il presidente.

Subito dopo, Mattarella esalta «le Convenzioni internazionali» e «le Corti di giustizia che ne sono derivate, a tutela dell’applicazione degli ordinamenti». E come si fa a non ricordare che proprio una sentenza della Corte di giustizia europea è lo scoglio che costringe la premier a fare le nottate per aggirarlo e far decollare quei centri in Albania che per ora sono solo un monumento alla propaganda e allo spreco?

IN REALTÀ LE INTENZIONI critiche del presidente erano meno pronunciate di quanto non appaia. Voleva, sì, segnalare in punto di diritto che non si può fare di tutta l’immigrazione un calderone unico e che bisogna pertanto sempre ricordare il diritto d’asilo garantito dalla Carta, però senza infierire e per vari motivi. Mattarella ha già in programma due discorsi che sul Colle definiscono «importanti»: il primo oggi stesso, rivolto alle principali cariche istituzionali, l’altro a fine anno, destinato a tutto il Paese. Si sa quanto l’uomo sia cauto nel dosare i suoi messaggi. Inoltre era “ospite” del ministro degli Esteri, perché la politica internazionale non è pertinenza del presidente e nel lontano passato ci fu anche il caso di un messaggio del presidente Gronchi bloccato proprio dal governo. Sono particolari a cui il presidente è più che attento.

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L’obiettivo, nel discorso di ieri, era ricondurre la politica estera del governo in carica nel solco di quella storicamente propria della Repubblica. Solo che in qualche caso ciò comporta inevitabilmente forzature che a tratti diventano stridenti, soprattutto se il discorso viene pronunciato a ridosso di un comiziaccio nel quale la presidente del consiglio, dismessi i panni istituzionali per rivestire quelli della capopartito, ha sparato a zero un po’ su tutti.

COSÌ QUANDO L’INQUILINO del Quirinale lancia un a grido d’allarme per gli «operatori internazionali svincolati da ogni patria, la cui potenza finanziaria supera oggi quella di Stati di media dimensione, e la cui gestione di servizi essenziali sfiora, sovente, una condizione monopolistica» la correlazione con il nuovo amico del cuore di Meloni, Elon Musk, appare a torto o a ragione evidente.

In realtà, trattandosi di un discorso sulla diplomazia, sulla importanza e anche sull’offuscamento della stessa, i passaggi principali per l’oratore erano quelli inerenti alle crisi internazionali in corso, alle guerre in Medio Oriente e in Ucraina. Sulla Palestina Mattarella ripete quanto già affermato dopo l’incontro con Abu Mazen ed è un sostegno alla nascita dello Stato palestinese drastico, scevro da ambiguità. «Per la Repubblica italiana, l’autentica prospettiva di futuro risiede nella soluzione a due Stati. È un obiettivo privo di alternative», afferma forte e chiaro e prosegue con parole altrettanto nette ma calibrate in modo da non destare dubbi sull’amicizia per Israele: «Perseguire l’obiettivo, ravvicinato, della statualità palestinese significa offrire al popolo della Cisgiordania e di Gaza un traguardo di giustizia e una convincente prospettiva di speranza per il futuro, condizione irrinunziabile anche per una finalmente solida garanzia di sicurezza per Israele».

SULLA CARTA È LA STESSA posizione assunta dal governo, che però in materia ha sempre parlato solo sottovoce. La differenza sembra solo faccenda di accenti ed enfatizzazione. Se non fosse che a volte accentuare o meno un elemento, come l’obbligo di rispettare il diritto d’asilo o la necessità di adoperarsi per lo Stato palestinese, è precisamente quel che fa la differenza.



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