Autonomia differenziata, lavoro, cittadinanza: questi i temi dei quesiti referendari che la settimana scorsa hanno ottenuto il via libera dalla Corte di Cassazione. Ora si attende – fiduciosi – il pronunciamento di merito della Corte Costituzionale che arriverà a fine gennaio. Poi una campagna elettorale che porterà ad una primavera della democrazia. Per Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil il messaggio molto chiaro: “Con 6 Sì il tuo voto può contare e può cambiare immediatamente le cose, rilanciare un’altra idea di lavoro, di società, di Paese”.
La Corte di Cassazione ha dato il via libera ai sei quesiti referendari che sono arrivati al vaglio delle supreme Corti accompagnate da milioni di firme. Una straordinaria partecipazione di cittadine e cittadine. Partiamo da qui.
Questa prima fase del percorso referendario, con al centro – grazie alla nostra iniziativa – temi concreti che parlano direttamente alle condizioni di vita e di lavoro delle persone, ha evidenziato che abbiamo incrociato un sentimento diffuso e trasversale nel Paese che considera i temi che abbiamo posto di grande importanza. Abbiamo sempre interpretato anche la stessa autonomia non solo e non esclusivamente come una questione squisitamente istituzionale e di architettura dello Stato, come indubbiamente è, ma soprattutto come un tema che parla anche della condizione sociale del Paese. Dai diritti all’uguaglianza, dai servizi pubblici alle condizioni di lavoro e la contrattazione creando così un collegamento molto coerente con i nostri quattro quesiti sul lavoro ai quali, poi, si è aggiunto quello sulla cittadinanza. E così il prossimo anno potremmo costruire un’unica campagna elettorale coerente, chiederemo 6 Sì per cambiare il modello sociale, per cambiare il modello economico e per rimettere al centro un’altra idea di società e di democrazia. La grande partecipazione che ha caratterizzato la fase di raccolta delle firme ci dice che abbiamo tutte le condizioni per fare una grande e bella battaglia democratica. Che punta, anche, a rivitalizzare una democrazia partendo – appunto – dal rilanciare un’idea di partecipazione a partire appunto da temi concreti.
I quattro quesiti referendari sul lavoro promossi dalla Cgil delineano un modello di società assai diverso da quello imposto dal governo Meloni.
È così. Il nostro è un modello fondato su un’idea di libertà sostanziale delle persone: libertà vuol dire avere un lavoro con diritti, un salario che permetta di vivere dignitosamente, vuol dire avere una condizione non di ricattabilità, di non subalternità, di non sfruttamento. Libertà vuol dire poter lavorare in contesti che garantiscano salute e sicurezza. E libertà vuol dire anche respingere il disegno complessivo del governo che continua pervicacemente a portare avanti un’idea di società chiusa, in cui il lavoro è marginale, subalterno. Provvedimenti come il Ddl sicurezza e il costante attacco al diritto di sciopero rafforzano ulteriormente le ragioni della nostra battaglia referendaria. Noi evochiamo tutta un’altra idea di Paese e di società, un’idea fondata sull’uguaglianza, sulla partecipazione e sulla libertà delle persone. Questo è il messaggio fondamentale che dobbiamo far arrivare ai cittadini e alle cittadine italiani.
Lo stesso giorno in cui si trovati i corpi degli ultimi morti dell’incidente terribile di Firenze, in giro per l’Italia perdevano la vita altre quattro persone. Uno dei quesiti referendari della Cgil mette al centro proprio la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici.
È un quesito purtroppo straordinariamente attuale. Nonostante tutto quello che è successo, nonostante i fiumi di inchiostro e le dichiarazioni continua a consumarsi una strage nei luoghi di lavoro, inaccettabile. La strage non si fermerà se non andando al cuore del problema: un modello di sviluppo e di impresa che non solo sempre più spesso sfrutta il lavoro e ne peggiora le condizioni, ma che appunto mette in discussione la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici. Il nostro referendum parla di questo, e non è un caso che quel quesito sia legato a quello sul sistema degli appalti che rappresenta uno dei terreni più esposti al fenomeno della strage di lavoro. Dal governo non solo non abbiamo risposte, ma gli ultimi provvedimenti di revisione del Codice degli appalti sono, se possibile, peggiorativi.
E poi i quesiti contro la precarietà.
È l’altro punto fondamentale della nostra battaglia: parla anche di condizioni di lavoro non solo sul piano dei diritti, del salario, dello sfruttamento, dell’autonomia e della libertà delle persone, ma parla anche di nuovo della condizione in cui si trovano soprattutto le giovani generazioni. E la precarietà – è sotto gli occhi di tutti – sempre più spesso espone a infortuni e incidenti. È evidente come esista un filo che lega la nostra iniziativa anche l’autonomia differenziata, basti pensare che la sentenza della Corte Costituzionale evidenzia come non sia possibile frantumare la disciplina legislativa su salute e sicurezza. Eccolo il filo che unisce tutti i quesiti e ci parla di una battaglia che appunto vuole rimettere al centro temi di straordinarie attualità.
E poi il quesito sulla cittadinanza: la Cgil ha contribuito alla raccolta di firme in coerenza con l’impegno – da tempo portato avanti – di affermare un’idea diversa di cittadinanza. Per la Confederazione i ragazzi e le ragazze nati in Italia, che hanno frequentato le nostre scuole sono cittadini italiani.
Non c’è dubbio, sono cittadini italiani e la legge deve riconoscere questo dato di realtà. Il referendum è l’occasione per rilanciare una battaglia che parla, anche in questo caso, di uguaglianza e di libertà delle persone e sappiamo come da tanto tempo ci stiamo battendo per dare all’Italia una legislazione sull’immigrazione civile. Anche su questo fronte il governo ripropone una visione assolutamente reazionaria, repressiva, che nega dei diritti fondamentali. Siamo all’assurdo che la presidente del Consiglio ha consegnato la cittadinanza italiana al presidente dell’Argentina che non ha nessun legame con il nostro Paese, non ha mai vissuto nemmeno un giorno qui e non paga un solo euro di tasse per contribuire al bilancio pubblico del nostro Paese. Invece la nega a tantissime ragazze a ragazzi che qui sono nati e cresciuti, che sono italiani a tutto tondo. È un’ingiustizia che va assolutamente cancellata.
L’attacco al diritto di sciopero, l’attacco al diritto di manifestare il proprio dissenso, l’attacco alla libertà di informazione e alla libertà da essere informati. La Cgil è stata in piazza contro il disegno di legge sicurezza, così come è stata nelle tante piazze italiane con lo sciopero generale del 29 novembre. Tutto questo c’entra con la stagione referendaria?
Assolutamente sì. Siamo nel pieno di una torsione autoritaria portata avanti dal governo. I provvedimenti e le scelte che hai elencato ci parlano di un disegno complessivo, si vogliono restringere gli spazi di partecipazione, si vogliono restringere gli spazi di democrazia. E questo disegno troverebbe un suggello definitivo qualora dovessero essere portate avanti le controriforme sul presidenzialismo e sulla giustizia. Stanno cercando in ogni modo di restringere gli spazi e gli strumenti di partecipazione e di mediazione politica, sociale, istituzionale e si cerca di accentrare e di verticalizzare il più possibile il potere. Noi siamo un sindacato confederale, siamo nati esattamente con una concezione opposta, per noi l’obiettivo è quello di far partecipare, coinvolgere il più possibile le persone dal basso per farle contare, per dare per dare loro più potere, perché tutti, in una democrazia compiuta, possano incidere su scelte generali dentro e fuori i luoghi di lavoro. E non è un caso che abbiamo deciso di utilizzare lo strumento referendario, è uno strumento che promuove partecipazione, che affida ai cittadini e alle cittadine il potere della scelta. È anche una risposta alla crisi della democrazia che non è di governabilità ma è crisi di rappresentanza. Di fronte a una larga fascia della nostra società, a partire dai ceti popolari, che non crede più che la politica, le istituzioni, la stessa democrazia possa migliorare le loro condizioni materiali, noi cerchiamo non di restringere, non di verticalizzare, di non concentrare ancora di più il potere come sta cercando di fare la destra e questo governo, ma l’opposto: rivitalizzare e rilanciare un’idea di partecipazione. Il messaggio è molto chiaro: con 6 Sì il tuo voto può contare e può cambiare immediatamente le cose.
Che fare da qui alla primavera?
Intanto attendiamo fiduciosi il prossimo passaggio: il giudizio di ammissibilità – atteso per fine gennaio – della Corte Costituzionale. Così come eravamo convinti delle nostre ragioni di fronte alla Cassazione, altrettanto siamo convinti che tutti e sei questi referendum abbiano i requisiti per essere ammessi. È chiaro che ci stiamo già preparando a una grande campagna elettorale che sarà una grande e bella battaglia democratica. L’obiettivo è quello di una primavera della democrazia che vogliamo contribuire a far sbocciare, per cambiare le cose e per rilanciare un’altra idea di lavoro, di società, di Paese.
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