Non basta organizzare le elezioni per definirsi democratici

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Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di World Review del New York Times. Si può comprare già adesso, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. E dal 25 novembre anche in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia.

Entro la fine del 2024, oltre due miliardi di persone avranno votato in settantatré elezioni nazionali in tutto il mondo. Per quanto impressionanti, queste cifre ci dicono poco sulla qualità di queste elezioni e ancor meno sulla salute della democrazia globale. Sappiamo ormai che, se in assenza di elezioni corrette è impossibile che vi sia una democrazia, un rituale elettorale può invece coesistere con l’assenza di democrazia. In definitiva, la qualità delle elezioni riflette la qualità delle istituzioni.

Purtroppo, la qualità delle istituzioni democratiche è decisamente in calo. Secondo una ricerca dell’International Institute for Democracy and Electoral Assistance, l’organizzazione intergovernativa che dirigo, il 2023 è stato l’ottavo anno consecutivo in cui il numero di Paesi che hanno registrato un peggioramento della propria performance democratica è stato maggiore del numero di Paesi che l’hanno invece migliorata: è il periodo più lungo dell’ultimo mezzo secolo in cui sia avvenuto un arretramento di queste dimensioni.

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Negli ultimi cinque anni, quasi la metà dei centosettantatré Paesi che il nostro rapporto prende in considerazione ha registrato un significativo deterioramento di almeno un elemento chiave della democrazia, come, ad esempio, la libertà di espressione, la libertà di stampa e la libertà di cui godono i partiti politici.

Se si sono indeboliti questi fattori che favoriscono un contesto adatto allo svolgimento di elezioni democratiche, non sorprende allora che dal rapporto emerga un altro elemento rilevante, e cioè che la qualità delle elezioni è sotto stress a livello globale. In base ai nostri criteri di misurazione, in trentanove Paesi (ventuno dei quali si trovano nell’Africa subsahariana) il processo elettorale appare ora significativamente meno credibile di quanto lo fosse nel 2018, mentre solo quindici Paesi hanno ottenuto un punteggio più alto rispetto a cinque anni prima. Questa situazione rappresenta una sorprendente inversione di tendenza rispetto al 2008, anno in cui quaranta Paesi avevano registrato dei progressi mentre solo quindici erano regrediti rispetto a cinque anni prima.

Oggi le elezioni democratiche si trovano ad affrontare una miscela esplosiva di pericoli. In tutto il mondo, le campagne di disinformazione digitale, le minacce rivolte alla sicurezza informatica e le gravi difficoltà nel monitorare i flussi di denaro diretti alle campagne elettorali digitali contribuiscono a rendere complesso il contesto in cui si trovano a operare gli organi di controllo delle elezioni, che spesso possono contare solo su risorse molto limitate. Con sempre maggiore frequenza, questi organi sono anche costretti ad affrontare eventi climatici estremi che sconvolgono le elezioni e possono avere conseguenze drammatiche: durante le recenti elezioni in India, decine di funzionari impegnati nell’organizzazione delle elezioni sono morti a causa del caldo.

Forse ancora più preoccupante è il peggioramento del clima politico, con una polarizzazione sempre più estrema, con il diffondersi di attacchi all’autonomia delle autorità elettorali – come quelli che si sono verificati di recente in Messico e Brasile – e con la proliferazione dei tentativi da parte di partiti o candidati perdenti di minare i processi elettorali pur senza avere le prove che siano avvenute irregolarità.

Quest’ultimo punto merita particolare attenzione. La globalizzazione del negazionismo elettorale, una patologia politica particolarmente grave, deve molto agli eventi verificatisi negli Stati Uniti a partire dal 2016. Come si è visto in molti diversi Paesi, dal Myanmar al Perù, il metodo usato da Donald Trump per gettare ombre infondate su risultati elettorali credibili è purtroppo diventato globale. L’impatto di tutte queste sfide che la democrazia deve affrontare non deve essere sopravvalutato. Un recente sondaggio condotto in diciannove democrazie di tutto il mondo da International IDEA ha rilevato che in undici di esse nemmeno la metà degli intervistati ha dichiarato che le ultime elezioni nei loro Paesi erano state libere ed eque. Un altro studio ha mostrato che tra il 2020 e il 2024 quasi una volta su cinque un candidato o un partito perdente ha rifiutato di accettare il risultato elettorale. E altrettante elezioni sono state decise attraverso ricorsi in tribunale.

L’aspetto più preoccupante è costituito dal fatto che negli ultimi quindici anni la media globale dell’affluenza alle urne è scesa dal sessantacinque per cento al cinquantasei per cento, nonostante le numerose disposizioni messe in atto durante la pandemia per facilitare la partecipazione elettorale. In tutto il mondo, molti cittadini e molte persone impegnate in politica stanno perdendo fiducia nella capacità delle elezioni di riflettere le preferenze degli elettori, di produrre risultati legittimi, di fare la differenza e di consentire un trasferimento pacifico del potere.

Proteggere la credibilità e la correttezza delle elezioni è fondamentale per il futuro della democrazia. La credibilità e la correttezza sono importanti non solo perché le elezioni svolgono un ruolo fondamentale nell’ambito di un sistema democratico, ma anche perché sono proprio le elezioni a offrire la migliore opportunità di arginare la marea di arretramenti democratici. In molti casi – in luoghi diversi come lo Zambia, il Guatemala, la Polonia e il Brasile – è proprio attraverso le elezioni che le forze democratiche hanno cambiato la traiettoria di democrazie che stavano vivendo una grave regressione.

È proprio questo a fare davvero la differenza tra i Paesi come la Russia e il Venezuela, in cui le elezioni sono solo dei vuoti omaggi che il vizio rende alla virtù, e i Paesi come il Sudafrica e l’India, nei quali le elezioni sono ancora in grado di produrre dei cambiamenti politici visibili.

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Il caso dell’India merita di essere sottolineato. Nonostante le reali minacce alle libertà civili che si erano registrate negli ultimi anni in quel Paese e nonostante i preoccupati titoli dei giornali che ne davano conto, le recenti elezioni rendono molto difficile affermare che l’India sia qualcosa di diverso da una democrazia. Il fatto che nel Paese più popoloso del mondo i tribunali abbiano protetto i leader dell’opposizione, che le autorità elettorali abbiano svolto senza problemi i loro compiti, che i cittadini abbiano chiesto conto al governo del suo operato e che i risultati siano stati accettati immediatamente da tutti gli attori politici dovrebbe essere considerato un punto luminoso in un panorama globale che per il resto è desolante.

Tutti questi esempi evidenziano bene come oggi le battute d’arresto della democrazia non siano sempre facili da individuare. Un tempo era facile riconoscere un crollo democratico. Oggi, invece, l’erosione dei sistemi democratici avviene spesso con un processo graduale che attraversa tutte le sfumature di grigio. Questo rende più difficili da identificare e da contrastare i pericoli che la democrazia sta correndo: per gli studiosi il decidere se una democrazia in declino abbia già attraversato o meno il Rubicone dell’autoritarismo si è trasformato in una sorta di gioco di società.

I casi citati suggeriscono che forse dovremmo adottare una semplice regola empirica: la democrazia cessa di esistere quando non è più possibile perseguire un cambiamento politico attraverso il ricorso alle urne. Se la semplice presenza di elezioni non è in grado di distinguere le democrazie dalle autocrazie, allora sono la credibilità e la correttezza di queste elezioni che possono aiutarci a distinguere con più certezza il grano dalla pula.

Proteggere la credibilità delle elezioni è tanto vitale quanto difficile. L’erosione della fiducia nelle elezioni è spesso innescata da fattori strutturali – come la polarizzazione della società, le profonde disuguaglianze o l’indebolimento sistemico delle istituzioni democratiche – che è difficile modificare con soluzioni rapide. Tuttavia, è importante che gli organi di monitoraggio delle elezioni si impegnino nell’istruire specificamente i cittadini sulle procedure di voto e di conteggio dei voti, reagiscano alle accuse infondate che vengono rivolte a dei procedimenti elettorali corretti e scambino informazioni ed esperienze con chi si occupa altrove della stessa attività, soprattutto sulla spinosa questione di come affrontare le campagne di disinformazione.

Gli attori politici dovrebbero impegnarsi a loro volta con urgenza a proteggere l’autonomia di questi organismi e a regolamentare quei flussi di denaro connessi alle elezioni che costituiscono la rovina della politica democratica moderna. Infine, le Nazioni Unite e le organizzazioni regionali dovrebbero prendere in considerazione la creazione di un relatore speciale che richiami l’attenzione sugli attacchi all’autonomia degli organi di monitoraggio elettorale, verifichi i progressi compiuti nella protezione dell’indipendenza di tali organi e formuli raccomandazioni agli Stati al riguardo. Il ruolo di questo relatore speciale potrebbe essere analogo a quello di altri “controllori” che operano già in difesa dell’indipendenza dei giudici e della libertà di espressione.

L’insegnamento che ci viene dalla grande celebrazione elettorale globale del 2024 non è che le elezioni democratiche hanno conquistato il mondo, ma piuttosto che esse sono una pratica fragile e in pericolo – e che il futuro dell’intero progetto democratico dipende dalla loro sopravvivenza.

© 2024 THE NEW YORK TIMES COMPANY AND KEVIN CASAS-ZAMORA

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